il 3 Marzo alle ore 11.30 con Paolo Gaspari la conferenza " Preti in Battaglia".
Già nell’estate-autunno del 1915 i cappellani non aspettavano solo l’arrivo dei soldati nei posti di medicazione, ma andavano a confortare e a recuperare i feriti sul campo di battaglia, avvicinandosi sempre più alla linea di fuoco, lì dove serviva il loro soccorso, l’incitamento ai barellieri, l’organizzazione dello sgombero. I cappella...ni uscivano sia di notte che di giorno, fidando dell’abito talare o della croce cucita sulla divisa, a recuperare i corpi per darne sepoltura. Ma la voce dei feriti che invocano soccorso oltre i reticolati e che morivano senza nessuno vicino è per molti sacerdoti una cosa insopportabile,a tal punto da obbligarli ad uscire dalle trincee.Iniziarono a seguire in coda le ondate d’assalto per poter subito raccogliere i feriti, salvarli e assistere i morenti. Sono giovani che hanno ancora l’ingenuità della gente semplice. Sono lì, abbandonati nella terra di nessuno, assetati, invocanti la mamma. Ecco allora che i cappellani uscirono dai ripari di propria volontà per rispettare un vincolo morale, un’etica basata sul desiderio di non deludere chi si attende qualcosa da te, rischiando la vita spesso solo per tenere la mano ai feriti e tranquillizzarli. Eccoli correre tra gli scoppi delle granate. Nessuno l’ha loro ordinato. Anzi il loro posto canonico era il posto di medicazione o l’ospedaletto da campo, abbastanza lontano e sicuro. Il loro coraggio è eroismo puro, perché non raccontarlo? Se non lo si racconta è come se il loro sacrificio non sia mai esistito.